disarmonia 13 Luglio 2020 – Pubblicato in: interferenze

In un mondo pieno di figure patinate, di social che quotidianamente ci bombardano di attimi di vite perfette, ci siamo convinti che quello che vediamo sugli schermi dei nostri telefoni sia la realtà, che esista un unico modo di vivere, comune agli altri: sempre perfetti, sempre allegri e sempre bellissimi.
Talmente abituati a questo mondo di cui ci riempiamo gli occhi, che tutto quello che non implichi un viso perfetto, un bel lavoro, un amore stupendo riteniamo non sia neppure da considerare.


Ma in che cosa consiste davvero la realtà?


Se pensiamo alla disarmonia come un insieme di varie parti senza coerenza tra loro che convivono nel campo della letteratura, quello che ci viene in mente è il pastiche letterario, definizione attribuita dalla critica alle composizioni di Gadda.
Un autore che per rappresentare la realtà, non solo nel proprio strato superficiale, ma andando a scandagliare la complessità e molteplicità, ha mescolato nelle sue opere più registri linguistici e stilistici, sconfinando fino alla deformazione di parole o alla creazione di neologismi.

Jackson Pollock

È allora questa la realtà: un insieme di oggetti, sensazioni, emozioni diverse e in totale contrasto l’uno con l’altro che abbiamo accumulate nel corso del nostro tempo e che convivono dentro ognuno di noi e si modificano ogni minuto.
Alla luce di ciò appare quindi palese come la nostra vita non possa essere semplicemente quella che mostriamo agli altri, sui social e non: concediamo, prima di tutto a noi stessi, di fallire, di mostrarci senza quei filtri che ci hanno permeato anche nella realtà, di mostrare agli altri quello che siamo davvero.

Questo articolo era stato pensato prima del lockdown, prima che il COVID-19 ci costringesse tutti a convivere quotidianamente con le nostre ansie e paure, chiusi nelle nostre case per proteggerci dal mondo fuori, eppure oggi mi pare ancora molto attuale.
Anche in questo periodo si è visto il voler mostrare che la nostra chiusura era più la bella, che il nostro pane e le nostre pizze erano meglio lievitate di quelli degli altri, anche in questo caso c’è stata una gara a chi si cimentava in più attività, in più corsi.
In tutto questo penso che in fondo però qualcosa di positivo in noi sia rimasto perché, volenti o nolenti, siamo stati portati a fare i conti con noi stessi.
Abbiamo imparato ad annoiarci, a quanto tutto quello che ci sia oltre noi sia un di più, abbiamo sentito la mancanza delle cose più piccole, compreso l’essenzialità del nostro mondo messo di fronte alle questioni davvero importanti.

Pablo Picasso

Arvo Pärt, il compositore estone che utilizzando la dodecafonia e la ripetizione di singole note ci ha aperto a nuove musicalità attraverso le sue opere, in particolare in Für Alina ( https://bit.ly/3eac1O6 ) ha mostrato come bastino poche note che si rincorrono e si scambiano tra i silenzi a non annoiare mai.
È nel loro intrecciarsi senza un’indicazione di tempo che viene spesso a crearsi una dissonanza, la quale tuttavia fa immergere ancora di più l’ascoltatore nella sua dimensione.

Pärt stesso disse: “Ho scoperto che è sufficiente una singola nota, suonata con grazia. Questa nota sola, o battito silenzioso, o momento di silenzio, mi conforta. Lavoro con pochissimi elementi – una voce, due voci. È questa la zona in cui mi muovo quando sono alla ricerca di una risposta – nella mia vita, nella mia musica, nel mio lavoro, nei miei momenti più bui. Ho la sensazione che tutto il resto all’infuori di questo non abbia significato… Resto qui da solo… con il silenzio”.

Credo che mai come in questi lunghi mesi ci si sia resi conto che quella singola nota siamo noi, che mai come ora siamo quel pastiche che voleva rappresentare Gadda, e che alla fine va bene così.



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