Wabi-Sabi: la bellezza nell’imperfezione 1 Maggio 2012 – Pubblicato in: imperfezioni

Il wabi-sabi insegna ad esercitare il distacco dall’idea di perfezione assoluta, per riscoprire la bellezza di una creazione intuitiva e spontanea, forse incompleta ma sicuramente ricca di originalità.

 

Immaginate un vecchio album in vinile che qualcuno ha ascoltato e riascoltato molte volte, lasciando che la puntina del giradischi ne estraesse il suono, passando sempre negli stessi solchi. L’usura e il tempo hanno inevitabilmente graffiato il vinile: un graffio accidentale, non voluto, che torna ogni volta a segnare quei suoni con la sua imperfezione, ricordando la fragilità delle scanalature e l’incompletezza di quei suoni sabbiosi. Quel vinile sarà assolutamente unico, e in misura solo intimamente percettibile, il suo fascino ne risulterà aumentato.

Come parte integrante della cultura nipponica, il wabi-sabi, nella sua forma più pura e idealizzata, è forse proprio questo: un impalpabile paradigma estetico che si arriva ad intuire pienamente solo dopo anni di contemplazione. L’Occidente tenta da tempo di associarlo concretamente a una serie di qualità fisiche, correndo tuttavia il rischio di fraintenderne il significato, trasformandolo in uno standard esportabile da applicare alla creatività.

Il wabi-sabi si può solo riconoscere istintivamente, perché riguarda certe delicate, invisibili tracce che si manifestano al limite del nulla, e adattarlo alla cultura occidentale è certamente una forzatura, anche se nel pensiero taoista (da cui esso trae origine) questa ingenuità nell’approccio alla sua comprensione non è del tutto paradossale. Il solo immergersi nella “banalità” della vita quotidiana, infatti, può condurre alla sua più piena comprensione.

 

PAROLE E OGGETTI

Il termine wabi-sabi è composto da due vocaboli distinti, dal significato piuttosto sfuggente.

Wabi” suggerisce un concetto di bellezza discreta, generata dalla presenza di un’imperfezione naturale o introdotta in modo casuale dai processi di lavorazione artigianale, ma mai simbolica e intenzionale. Una bellezza viziata dalla presenza di difetti naturali considerata, paradossalmente, perfetta.

Sabi” sottintende un’idea di bellezza legata al passare del tempo, che può manifestarsi solo in seguito all’usura e all’invecchiamento, come può accadere per le rughe che solcano il volto di un uomo, o la patina che ricopre inevitabilmente gli oggetti che usiamo.

Il wabi–sabi, profondo e multidimensionale, considera i reami più sotterranei dell’esistere trascendendone la mera apparenza, e trae dalla natura le sue tre lezioni fondamentali: nulla è perfetto – nulla è permanente – nulla è completo. La bellezza è quindi intimamente intrecciata con l’imperfezione e la caducità delle cose.

Contrapponendosi alle concezioni occidentali, il wabi–sabi intende la bellezza come un evento silenzioso e dinamico: essa può rivelarsi in modo inatteso, come uno stato alterato della coscienza che ci permette di scendere inaspettatamente a patti con ciò che fino a quel momento consideravamo brutto. Lo si potrebbe definire un esercizio volontario di inversione percettiva. Non a caso, gli oggetti wabi-sabi sono spesso visti come “rustici“, perché così appaiono a un primo impatto: asimmetrici, rozzi, semplici, realizzati con materiali naturali, con superfici ruvide e irregolari, e di colore non uniforme. Occorrono sensibilità ed esperienza per essere in grado di apprezzarne pienamente il valore estetico.

 

MINIMALISMO 

Essendo un’arte del sentire, non è del tutto corretto parlare di “applicazioni pratiche” del wabi-sabi. Tuttavia, per la nostra cultura materiale, è strettamente necessario esprimere in modo tangibile i concetti che esso esprime. Un ottimo compromesso, allora, diventa quello di lasciare che il wabi-sabi ispiri un minimalismo intuitivo, per nulla razionale, e un’estetica imperfetta e vissuta, tesa a ricreare un’atmosfera personale e intimista.

Nel design, ad esempio, attribuire valore all’imperfezione significherà produrre oggetti capaci di invecchiare ed essere riparati, oggetti intesi come entità vive e mutevoli le cui imperfezioni possano diventare elementi narrativi del loro vissuto, stimolando in tal modo un legame duraturo tra utente e prodotto. Analogo discorso si potrà fare anche in altri campi della creatività, come l’architettura, l’arte, la poesia e la scrittura.

Come spiega Leonard Koren, “La strategia principale di questa intelligenza è l’economia dei mezzi. Sbucciare fino all’essenza, ma senza togliere la poesia. Tenere le cose pulite e svincolate, ma senza renderle sterili […] Ciò significa anche mantenere le caratteristiche cospicue al minimo. Ma questo non vuol dire rimuovere il tessuto connettivo invisibile che lega in qualche modo gli elementi in un insieme significativo.”

 

Potremmo insomma definire il wabi-sabi come un insolito cambiamento di prospettiva, che può generare un mutamento interiore molto potente e profondo, in grado di spingerci a rallentare e considerare i dettagli della realtà circostante, in tutte le loro sfumature più squisite ed evocative.

 

 

 

Letture consigliate:

Leonard Koren, Wabi Sabi. Per artisti, designer, poeti e filosofi, Ponte alle Grazie, 2002.

Ostuzzi, Salvia, Rognoli e Levi, Il valore dell’imperfezione. L’approccio wabi sabi al design, Franco Angeli, Publisher, 2011.

Andrew Juniper, Wabi Sabi: The Japanese Art of Impermanence, Tuttle Publishing, 2003.

Richard Powell, Wabi Sabi Simple, Adams Media, 2004.



« Tutto scorre: l’arte di Riusuke Fukahori