Solo una vita 14 Marzo 2016 – Pubblicato in: interferenze
Ci sono momenti in cui la tv è solo un ronzio. Lei sta parlando, tu non stai ascoltando. Poi, improvvisamente, ci fai caso. Ed è in quei momenti che si annidano quei programmi che tu mai, per nessuna ragione al mondo, avresti guardato spontaneamente. Porta a porta. I dati auditel ti rilevano sintonizzato: domattina Vespa si sveglierà felice anche per colpa tua. Vorresti cambiare: ma è proprio in quei momenti che il telecomando sparisce, inghiottito da chissà quale cuscino.
Vespa sta incalzando Mario Monti con quella inflessibilità provocatoria che usa con i potenti non più tanto potenti.
Dov’è il telecomando?
Si sta parlando del problema degli esodati. Grandissimo errore secondo Vespa; anche Monti ammette, per quanto la cosa sia stata strumentalizzata.
Dov’è il telecomando???
Monti però si giustifica: un errore di calcolo, ok, ma in termini numerici quasi trascurabile.
Trovato. Spengo.
Nel silenzio della mezzanotte mi ritorna alla mente quel pensiero così tante volte pensato, tanto che esiste per trattarlo un filone a sé di filosofia della storia: il complesso rapporto tra la macrostoria economico-politica e l’esistenza del singolo. Mi ritorna nella sua versione più drammatica, molto adatta all’ora: quella con volto e nomi. Un tal Giuseppe Menocchio, gran baffoni folti e occhi umidi, il suo percorso, le cose che ha imparato, le sue ambizioni, i progetti suoi e dei suoi cari, il sorriso che eppure aveva nelle vecchie foto: tutto cancellato da una imprevedibile sfiga, e cioè quella di vivere proprio nel momento in cui Elsa Fornero – distratta! – compie un quasi trascurabile errore di calcolo.
Il tal Corrado Trione, ingegnoso e studioso, che non riesce a dar da mangiare ai suoi figli non solo perché non li ha (ancora) fatti, ma anche perché è nato nell’anno peggiore in cui nascere tra gli ultimi 70, secondo le statistiche: il 1984.
E’ un tema a cui, guardacaso, la mia generazione è molto sensibile, e particolarmente lo sono i colleghi teatranti (perché sì, c’è chi alla sfiga di nascere negli anni ottanta aggiunge quella di lavorare in teatro). Così di recente ho potuto assistere a due spettacoli molto belli che vertono sulla questione.
Il primo è Amorica di Laura Tanzi, che rappresenta con grottesca ironia il retroscena del potere di Franklin Delano Roosevelt.
Da una parte la figura “doppia” del presidente, forte e deciso in pubblico quanto in privato insicuro, succube di una madre tirannica, di un’amante pronta a tutto, di una malattia che cercherà fino all’ultimo di nascondere. Dall’altra Lorena, la giornalista amante della first lady Eleanor, lasciata da parte sentimentalmente e professionalmente nel momento in cui cessa di essere utile. I due spiritelli del tempo, Yin e Yang, ripercorrono la sua vicenda cercando di cambiarla: il loro compito è infatti salvare quelle piccole vite dimenticate che la Storia coinvolge loro malgrado, trita e getta via.
Non nel tono – che in Amorica è divertente – ma nell’ambientazione e nei temi siamo vicini alla celebre serie tv House of Cards, che tratta ti intrighi alla Casa Bianca. Chi l’ha seguita (in questi giorni comincia la quarta stagione. Spero di perdere il telecomando altrimenti ricado nel tunnel) sa che lì i personaggi “forti” sono quelli che riescono a comprimere totalmente la sfera privata in favore della carriera. Chi riesce ad annullare la Vita in favore della Storia.
E’ un sacrificio mica da ridere, considerato che la vita non è tanto un dono, quanto piuttosto la condizione necessaria per ricevere doni: è proprio tutto ciò che abbiamo. Ce lo ricorda una volta di più il secondo spettacolo in questione, quello scritto e diretto da Monica Massone, dal titolo eloquente Solo – Una vita.
Antonio (interpretato divinamente da Fabrizio Pagella) vuole fare il maestro, lo vuole con tutto se stesso. Si prepara all’esame, sostiene le interrogazioni, promette alla famiglia che presto contribuirà con il suo lavoro, condivide le sue speranze con gli amici del bar. Peccato che sia il 1915. Sulla lavagnetta di casa mia ho appuntato una massima sentita non so più dove:
una volta trovata la tua necessità, poi è una passeggiata.
Bella cazzata. Il 1915 è l’anno della Grande Guerra, Antonio viene spedito in trincea insieme alle sue necessità e ai suoi sogni, e molto semplicemente ci muore senza neanche aver chiaro il perché.
Il libri di storia ci dicono che la guerra la fa la gente, austriaci contro italiani, francesi contro tedeschi. Ma in realtà le persone vivono, e la Storia le arruola contro la loro volontà. Un po’ come quando vieni censito come pubblico di Porta a Porta, ma tu semplicemente non hai il telecomando e non puoi fare niente, proprio niente, per cambiare.
Poteva andarci anche peggio, a noi degli anni 80. Potevamo nascere quando c’era la guerra.
Quando c’era la guerra c’erano le navi da guerra, sparavano razzi nella notte, si gridava Fuocoammare
racconta un’anziana signora nel documentario che ha appena vinto l’orso d’oro a Berlino. Nella scena successiva si vedono le grandi navi militari che, oggi, presidiano il mare di Lampedusa.
Per dire che in qualche modo la guerra c’è ancora: poteri ingiusti e oscuri contro cui non possiamo nulla, scelte azzardate, errori di calcolo, conseguenze trascurabili, le correnti della Storia che forse solo i nostri nipoti capiranno. E intanto noi veniamo trascinati via.
Ma Fuocoammare ci ricorda anche un’altra cosa, che è una ben terribile consolazione.
Poteva andarci anche molto peggio.
Potevamo nascere dall’altra parte del Mare.
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NOTE
- Il tal Giuseppe Menocchio dagli occhi tristi me lo sono inventato. Menocchio però non è un nome a caso: è il protagonista della storia (vera) de Il formaggio e i vermi, libro di Carlo Ginzburg che è uno degli esempi più famosi (e consigliati) sul tema del rapporto microstoria vs. macrostoria.
- Amorica, visto il 30 gennaio al Teatro La Creta di Milano, è uno spettacolo della compagnia Lyra Teatro scritto e diretto dall’ottima Laura Tanzi. Ogni ulteriore descrizione è superflua, siccome sul sito della compagnia è presente il video integrale dello spettacolo.
- Solo- Una vita, visto il 27 febbraio al Teatro Ambra di Alessandria, è un monologo prodotto dalla compagnia Quizzy Teatro, con drammaturgia e regia di Monica Massone. Lo spettacolo è notevole, oltre che per la scrittura e la messa in scena (la bravura di Fabrizio Pagella è davvero impressionante) per il lavoro di documentazione storica video e fotografica. Ulteriori info sul sito della compagnia.
- Fuocoammare è il documentario di Gianfranco Rosi uscito lo scorso febbraio che ha vinto l’Orso d’oro a Berlino. Tratta di Lampedusa, dei suoi abitanti e dell’emergenza immigrazione con modalità che stanno suscitando più di una polemica (forse condivisibile). L’unico modo per farsene un’idea è vederlo, in uno dei pochi cinema che lo programmano. La foto di copertina è tratta dal film.