Pardon my dust 22 Ottobre 2013 – Pubblicato in: haiku
Con tutta probabilità, nulla può incarnare simbolicamente il concetto di imperfezione meglio di un Mandala.
Nelle tradizioni più antiche, il Mandala è inteso come una complessa e meravigliosa immagine dotata di una struttura geometrica e cromatica che, fondendosi l’una nell’altra, sono in grado di proiettare la mente in una dimensione creativa tale da lasciar scaturire una visione intuitiva fondamentale per comprendere il carattere transitorio dei fenomeni impermanenti.
I Mandala sono essenzialmente veicoli temporanei per la meditazione. Solitamente richiedono pazienza e lunghi tempi di costruzione, terminata la quale si è in grado di assimilarne mentalmente l’immagine simbolica e quindi di crescere interiormente.
Passato un breve periodo di tempo, tuttavia, il Mandala costruito con tanta meticolosità deve essere semplicemente distrutto, spazzando via con un semplice (e impietoso) gesto la sabbia di cui è composto, espressione inequivocabile del principio buddhista del non-attaccamento.
Una volta esplicata la sua funzione, dal momento che il suo significato è stato ormai assimilato, il Mandala non ha più motivo di esistere.
L’idea di Mandala possiede, tuttavia, una profondità tale che se anche ne trasponessimo i concetti su un piano differente, scegliendo una chiave interpretativa meno spirituale ad esempio, conserverebbe intatto il prezioso lato filosofico in essa contenuto.
Il conceptual designer Peter Han applica, forse inconsciamente, i medesimi principi alle sue impeccabili quanto effimere creazioni, frutto dell’insolita e ancora ampiamente inesplorata arte da lui stesso definita “Dynamic Sketching”.
Il concetto è apparentemente semplice: bastano una lavagna, una manciata di gessetti colorati e poche forme geometriche basilari attraverso cui è possibile comporre figure più complesse, tracciate con linee abbozzate e sfumature accennate in modo del tutto approssimativo.
Il risultato è una serie di studi formali schizzati rapidamente col gessetto, di valore puramente didattico, ma di una bellezza non meno attraente e ipnotica di quella posseduta da un’opera definitiva.
Peter Han, giovane designer statunitense che ha già al suo attivo la creazione di diversi film animati e video games, ha perfezionato negli anni questa tecnica appresa durante il suo periodo formativo, trasformandola in un efficace metodo didattico utilizzato nel corso delle sue lezioni di livello accademico.
La tecnica del Dynamic Sketching, com’è implicito nel nome stesso, non è assolutamente statica ma è un metodo di disegno che richiede il coinvolgimento dell’intero corpo, una serie calcolata di gesti sapienti e un’elevata dose di concentrazione.
Da circa tre anni, Han insegna ad abbandonare i preconcetti sulla nozione di arte classicamente intesa, per apprendere al contrario un metodo di disegno completamente differente, rapido e realizzato con strumenti effimeri, che una volta terminato dovrà essere inevitabilmente cancellato con un colpo di spugna.
L’idea di Han è quella di instillare nei suoi studenti l’abitudine a separarsi dalla propria opera, apprendendo il concetto di impermanenza di tutte le cose e consentendo loro di sviluppare le proprie idee errore dopo errore.
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