Urbex 3 Gennaio 2021 – Pubblicato in: imperfezioni

Abbandonare significa lasciare definitivamente e per sempre qualcuno o qualcosa, eppure il verbo deriva dal francese medievale à ban donner, cioè mettere a disposizione, derivante a sua volta dal franco bann. Mi piace pensare che il vecchio significato di questo verbo sia riportato in vita da chi pratica quella che viene definita esplorazione urbana o urbex, fusione di urban exploration. Un doppio ritorno alla vita, da una parte di un termine che oggi designa quei posti di qualsiasi tipo lasciati alla mercè del tempo, dei fenomeni atmosferici, del vandalismo e del menefreghismo. Dall’altra il ritorno stesso di quei luoghi, una volta pieni di vita ma oggi decadenti e sconosciuti ai più che l’urbex mette a disposizione, in senso stretto s’intende.  

La pratica dell’urbex nasce negli ultimi due secoli ma la sua prima attestazione, forse solo leggendaria, la si fa risalire all’esploratore o curioso francese Philibert Aspairt che si perse nelle gallerie sotterranee delle Catacombe di Parigi nel 1973. In tutto il mondo fotografi, amanti dell’antico e della decadenza o semplicemente curiosi vanno alla scoperta di posti di diverso genere abbandonati a se stessi. 

Esiste anche in Italia una community di appassionati dell’urbex che immortala e racconta location fatiscenti e attraenti come chiese, ville, teatri e cinema, scuole e colonie, masserie,terme, caserme, castelli, fabbriche, ospedali e altro. Non solo passione per la fotografia o l’arte nelle sue varie forme, l’esplorazione urbana è anche denuncia verso le istituzioni e/o privati che hanno lasciato morire parte del patrimonio artistico e culturale e verso la deturpazione architettonica del territorio resa palese dai vari ecomostri disseminati nello stivale. 

Siete pronti a fare un giro tra alcuni dei luoghi abbandonati più interessanti del Piemonte?

Immaginate migliaia, sì migliaia, di persone con un cocktail in mano mentre ballano sulle note techno del live set di un giovanissimo Gigi D’agostino, è il 1994 e siamo ad Airasca all’Ultimo Impero. La discoteca, con 7 piste da ballo e due cascate, fu aperta nel 1992 e poteva contenere fino a otto mila persone su una superficie interna di 7 mila metri quadrati ed esterna di 12 mila. Dopo varie vicissitudine e cambi di nome l’Ultimo Impero restò in piedi fino al 2010, oggi tra i campi e i capannoni nella statale per Sestriere restano le rovine. 

Nel 1978 cessa di essere luogo d’orrore, per centinaia di persone rinchiuse nei 20 padiglioni, dopo 40 anni di attività. Il manicomio di Vercelli è stato uno dei più grandi d’Italia, nei suoi 28 ettari includeva reparti in cui si sperimentavano cure oggi atroci ieri sperimentali. Alcuni scatti fotografici sono la testimonianza della disumanità delle pratiche. Il manicomio aveva pure un teatro, quello che ne resta oggi è in buona parte carbonizzato, il luogo è intriso di una forte carica emotiva. 

Immersa nella precollina torinese c’è una villa che ha più di quattrocento anni di storia ed è apparsa anche nel grande schermo. La Villa del Conte d’Agliè fu costruita durante l’epidemia di peste che colpì Torino nel 1600 dal letterato e politico Ludovico San Martino d’Agliè. L’elegante decadenza della Villa compare immersa nella boscaglia selvaggia in una scena de “La Terza Madre” di Dario Argento. Oggi l’immobile è gravemente pericolante sia nei piani che nei sotterranei, un gioiello in decadenza.

Questi e molti altri luoghi sono riscoperti e portati e fatti conoscere dalla community Urbex Piemonte attraverso reportage fotografici, video e podcast che raccontano la storia passata e attuale dei molti luoghi dismessi disseminati in Piemonte.   

Foto di Urbex Piemonte

 



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