DEX AIE! 23 Marzo 2022 – Pubblicato in: interferenze

Le probabilità di essere colpiti da un fulmine durante la vita sono bassissime: circa 1:10.000 (1×10−4).
La natura però non si interessa ai calcoli e alle statistiche, e talvolta finisce con l’accanirsi
.

È un freddo inverno del 1918. I Campi delle Fiandre si allungano sino all’orizzonte. La pioggia si riversa sui soldati che avanzano stremati e su quelli che invece giacciono a terra ricoperti di fango. Il cielo urla più dei mutilati. Le nubi emettono scintille ben più luminose degli scoppi di fucile. Il Maggiore Walter Summerford, ufficiale di cavalleria britannico, sprona il cavallo, incita gli uomini e rende gloria a Re Giorgio. La possente bestia a cui è arcionato raspa, nitrisce, s’impenna.
«Dex Aie!» dio ci aiuti, urla il Maggiore per fomentare i fanti.
Ma in quell’istante una scarica elettrica guizza fuori da un nugolo nero come la cancrena, squarcia l’aria, scuote i corpi e i tronchi distrutti dalle palle di cannone e s’incunea nella sciabola del Maggiore protesa verso il firmamento. Il fulmine corre lungo il filo dell’arma bianca, si infila nella mano, nel braccio e poi nel corpo di Summerford che viene disarcionato dal cavallo e proiettato a terra, tra il fango e i morti.
La Guerra, per lui, finisce in quel momento. E con essa anche la possibilità di camminare. Paralizzato dalla vita in giù, il Maggiore si trasferisce a Vancouver, in Canada, e alla sciabola sostituisce la canna da pesca.

È un’anomala primavera del 1924. Walter, a cavallo della sua sedia a rotelle, scende al solito fiume per andare a pesca. Il cielo grigio si specchia nell’acqua che scorre pigra lambendo la riva fangosa. L’umidità galleggia, sfoca la linea dell’orizzonte su cui sta appoggiato un sole debole e candido come la luna. I fili d’erba oscillano sotto il soffio fievole ma costante del vento che smuove anche le foglie dell’albero sotto cui sta seduto Summerford. Crepitano, le foglie, sibila, il fiume, fischietta, Walter.
Un fulmine d’improvviso squarcia il grigio del giorno. L’ex Maggiore contrae i muscoli e fa per alzarsi e correre via, terrorizzato, scordandosi che le gambe non rispondono più ai suoi comandi. La scarica si fa strada tra le gocce d’umido come l’edera nelle crepe di un muro, e giunge lì, vicino all’uomo con la canna da pesca in mano, sfiorandolo.
Summerford lascia cadere la canna a terra e si tasta incredulo il corpo con le mani. Non un graffio. Un respiro profondo, poi fischietta, Walter, sibila, il fiume, crepitano, le foglie e il tronco dell’albero che gli fa ombra. Troppo forte. L’uomo alza gli occhi per controllare e nota che le fronde sono più vicine di quanto si ricordasse. E si avvicinano. Il tronco del cedro è squarciato in due, come colpito da una palla di cannone, e si abbatte a peso morto sopra l’ex Maggiore Walter Summerford, ufficiale di cavalleria britannico.
La passione per la pesca, per lui, finisce in quel momento. E con essa anche la possibilità di muovere la parte destra del proprio corpo.

È una calda estate del 1930. Walter cammina in un parco.
Sì. Cammina.
Da quattro anni ha ripreso completamente, e miracolosamente, tutte le facoltà corporee. Muove il braccio destro, muove le gambe e i piedi. Cammina.
Il parco è immerso in una potente luce color miele come un insetto eternizzato nell’ambra. Il cielo terso si stende sopra alle teste dei passanti, sopra ai prati e sopra agli alberi immobili e muti. Osserva l’estate, l’ex Maggiore, mentre procede fischiettando con la giacca sottobraccio e il borsalino in testa. I tacchi fan tic tac contro al vialetto di pietra chiara e questo, insieme al timido vociare delle dame e dei signori, è l’unico rumore che disturba gli scoiattoli in equilibrio sopra ai rami. Ma poi… inaspettata come un infarto e inspiegabile come la resurrezione, il cielo scaglia una freccia elettrostatica che pare partire dall’empireo per finire dritta nel petto dell’ufficiale di cavalleria. Questione di istanti, di secondi lunghi anni in cui il parco si riempie di alberi mozzati, di corpi trucidati e pieni di fango, di pesci che nuotano, di sciabole e di canne da pesca.
Per Walter, la guerra, il fiume, il cavallo, la pesca, finisce in quel momento. E con essa anche la possibilità di muoversi.
Paralisi totale.

È un piovoso autunno del 1936. Il cimitero di Mountain View è schiacciato da grigi cumuli di nubi che paiono i fumi di mille esplosioni. Sulla lapide del Maggiore Walter Summerford scoppiettano le gocce della pioggia che scende obliqua, deviata dalle raffiche discontinue di vento non ancora gelido. Sta lì, ficcata nel fango, da ormai quattro anni. Le cure, la ginnastica e i farmaci non hanno aiutato Walter a riprendersi da quel terzo colpo; da quel terzo incontro con il cielo e con chi lo governa. Ora giace tranquillo, al riparo dal destino e dalle scariche elettriche. Protetto da tre metri di terra dura che d’inverno gela, che in primavera si copre d’erba, che in estate scotta e che in autunno si impregna d’acqua e diventa fango. L’aria brontola, annuncia un temporale lontano.
Troppo lontano per essere il suo.
Eppure…
Un fulmine si scaglia preciso, squarciandola come fosse un tronco, contro alla lapide del Maggiore Walter Summerford, ufficiale di cavalleria britannico trasferitosi a Vancouver, sopravvissuto alla guerra, a tre fulmini, a una vita di paura e di domande. Già, perché se è vero che sui luoghi in cui cadeva un fulmine i greci edificavano templi; se è vero che chi veniva colpito da una scarica elettrica era considerato nemico di Zeus; se è vero che chi moriva folgorato veniva lasciato insepolto in quanto non si voleva interferire col volere degli dei; lui, allora, era un baciato da dio o un nemico di esso? Era un tempio o una carcassa indegna di sepoltura? Era speciale o era solo un comune cristiano più sfortunato degli altri?
Era Walter Summerford, il parafulmine umano, che queste domande se l’è portate nella tomba.



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