Biologia dell’inorganico 8 Aprile 2014 – Pubblicato in: imperfezioni
«La fotografia creativa non riproduce il visibile, lo rende visibile… non lo guarda soltanto, lo fa vedere». (Franco Fontana, Intervista, 2003)
L’esercizio di riflessione sull’estetica della forma urbana attraverso il linguaggio fotografico riveste da lungo tempo un ruolo essenziale nella definizione di una coscienza visiva della città, in modo particolare nei suoi abitanti, abituati a muoversi meccanicamente tra le architetture che la compongono e a subirne passivamente la presenza, senza la possibilità di stabilire un atteggiamento critico nei loro confronti.
Eppure le metropoli contemporanee, lungi dall’essere semplici agglomerati di edifici inanimati, trafitti dai tentacoli di impianti elettrici, tubature e dispositivi elettronici, nonché stralci di paesaggi industriali sentiti come corpi estranei e alieni se confrontati con l’essenza morbidamente analogica dell’universo umano e naturale, sono di fatto creature vive, che respirano con polmoni metallici forse, ma che instancabilmente tentano di comunicare il proprio messaggio estetico con un linguaggio esclusivamente visivo, silenzioso e sotterraneo, che solo un occhio abituato all’analisi attenta di dettagli impercettibili può consapevolmente captare.
Fermarsi ad osservare, vedere oltre il visibile, rallentare lo sguardo e racchiuderlo in un’istantanea di senso più profondo della semplice apparenza, è il mestiere che compete il fotografo esperto il quale, attraverso immagini che ritraggono soggetti urbani, è in grado di dilatare la percezione visiva degli abitanti delle metropoli, contribuendo peraltro a una sorta di adattamento estetico nei confronti di quei brani di città poco comprensibili, e per i quali spesso si manifesta una condivisa repulsione.
Ispirato dalla lezione di Franco Fontana – convinto che la fotografia creativa non dovesse ridursi a semplice riproduzione della realtà ma all’interpretazione dei significati che essa sottende, rendendoli visibili sulla base di geometrie esistenti – lo sguardo sapiente di Carlo D’Orta (Firenze, 1955) ha saputo tradurre il desiderio e la curiosità di “vedere” mondi differenti da quelli considerati abituali in una ricca serie di immagini decontestualizzate e venate da un senso metafisico della realtà osservata, in cui la città o i luoghi dell’industria pesante vengono descritti da inquadrature ravvicinate e tagli insoliti.
Ne scaturiscono visioni urbane che possiedono le medesime qualità della pittura astratta geometrica, in cui porzioni di spazio, solitamente inosservate e anonime, acquisiscono significati differenti e profondi, stimolando la riflessione di chi le osserva e modificandone inevitabilmente la percezione.
Le geometrie urbane e gli agglomerati inorganici di cui sembriamo assorbire costantemente la presenza, fino quasi a renderli inavvertitamente elementi invisibili nel nostro campo percettivo e presenze inanimate e insignificanti del nostro ambiente quotidiano, si traducono in superfici astratte definite dalla leggerezza di segni impalpabili e sovrapposti, su cui al contrario è possibile far scorrere l’immaginazione umana.
Gli scatti di Carlo D’Orta sono assolutamente spontanei e dettati dall’intuizione del momento e solitamente non subiscono alcun tipo di manipolazione digitale che possa alterare e distorcere le forme ritratte. Solo in alcuni casi è possibile che in sede di post produzione egli decida di esaltare digitalmente cromie e contrasti di alcune immagini per accentuarne il messaggio visivo.
Sito ufficiale
Photo Credits
Copyright © Carlo D’Orta
«La fotografia creativa non riproduce il visibile, lo rende visibile… non lo guarda soltanto, lo fa vedere». (Franco Fontana, Intervista, 2003)
L’esercizio di riflessione sull’estetica della forma urbana attraverso il linguaggio fotografico riveste da lungo tempo un ruolo essenziale nella definizione di una coscienza visiva della città, in modo particolare nei suoi abitanti, abituati a muoversi meccanicamente tra le architetture che la compongono e a subirne passivamente la presenza, senza la possibilità di stabilire un atteggiamento critico nei loro confronti.
Eppure le metropoli contemporanee, lungi dall’essere semplici agglomerati di edifici inanimati, trafitti dai tentacoli di impianti elettrici, tubature e dispositivi elettronici, nonché stralci di paesaggi industriali sentiti come corpi estranei e alieni se confrontati con l’essenza morbidamente analogica dell’universo umano e naturale, sono di fatto creature vive, che respirano con polmoni metallici forse, ma che instancabilmente tentano di comunicare il proprio messaggio estetico con un linguaggio esclusivamente visivo, silenzioso e sotterraneo, che solo un occhio abituato all’analisi attenta di dettagli impercettibili può consapevolmente captare.
Fermarsi ad osservare, vedere oltre il visibile, rallentare lo sguardo e racchiuderlo in un’istantanea di senso più profondo della semplice apparenza, è il mestiere che compete il fotografo esperto il quale, attraverso immagini che ritraggono soggetti urbani, è in grado di dilatare la percezione visiva degli abitanti delle metropoli, contribuendo peraltro a una sorta di adattamento estetico nei confronti di quei brani di città poco comprensibili, e per i quali spesso si manifesta una condivisa repulsione.
Ispirato dalla lezione di Franco Fontana – convinto che la fotografia creativa non dovesse ridursi a semplice riproduzione della realtà ma all’interpretazione dei significati che essa sottende, rendendoli visibili sulla base di geometrie esistenti – lo sguardo sapiente di Carlo D’Orta (Firenze, 1955) ha saputo tradurre il desiderio e la curiosità di “vedere” mondi differenti da quelli considerati abituali in una ricca serie di immagini decontestualizzate e venate da un senso metafisico della realtà osservata, in cui la città o i luoghi dell’industria pesante vengono descritti da inquadrature ravvicinate e tagli insoliti.
Ne scaturiscono visioni urbane che possiedono le medesime qualità della pittura astratta geometrica, in cui porzioni di spazio, solitamente inosservate e anonime, acquisiscono significati differenti e profondi, stimolando la riflessione di chi le osserva e modificandone inevitabilmente la percezione.
Le geometrie urbane e gli agglomerati inorganici di cui sembriamo assorbire costantemente la presenza, fino quasi a renderli inavvertitamente elementi invisibili nel nostro campo percettivo e presenze inanimate e insignificanti del nostro ambiente quotidiano, si traducono in superfici astratte definite dalla leggerezza di segni impalpabili e sovrapposti, su cui al contrario è possibile far scorrere l’immaginazione umana.
Gli scatti di Carlo D’Orta sono assolutamente spontanei e dettati dall’intuizione del momento e solitamente non subiscono alcun tipo di manipolazione digitale che possa alterare e distorcere le forme ritratte. Solo in alcuni casi è possibile che in sede di post produzione egli decida di esaltare digitalmente cromie e contrasti di alcune immagini per accentuarne il messaggio visivo.
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Copyright © Carlo D’Orta