Stanley Donwood e Radiohead: creatività in simbiosi 25 Maggio 2012 – Pubblicato in: imperfezioni
Stanley Donwood (alias Dan Rickwood) esprime da tempo la sua oscura creatività attraverso la pittura, l’incisione e la scrittura. Ironico, schivo ed estremamente riservato è l’eclettico artista il cui nome è indissolubilmente legato all’enigmatica veste grafica che dagli anni ‘90 caratterizza le sonorità dei Radiohead.
Attorno alla sua figura una leggenda metropolitana: Donwood sarebbe uno dei tanti pseudonimi di Thom Yorke, il ben noto e insolito frontman dei Radiohead. Il dubbio, poi fugato, era nato per via della perfetta fusione tra l’inconfondibile identità visuale della band e la sua impronta musicale. Nella realtà, i due si incontrano per la prima volta durante gli anni del college, alla Exeter University, dove entrambi studiano arte. Non ci vorrà molto perché intuiscano di possedere una complicità e un’affinità professionale decisamente sopra le righe.
Donwood inizia a collaborare con i Radiohead intorno al 1994, realizzando la cover e le grafiche interne dell’album The Bends. Sarà proprio il suo insolito packaging a portare all’attenzione di un pubblico più vasto il lavoro della band, rimasto fino a quel momento per lo più in sordina. Ancora una volta, il graphic design – forma d’arte potentemente comunicativa – contribuisce a rafforzare l’identità univoca del messaggio musicale di cui effettua l’istantanea trasposizione in immagini. La notorietà dei Radiohead esplode, così, improvvisamente.
PROCESSO CREATIVO
Con i Radiohead si sviluppa una simbiosi creativa completa: durante la produzione di un disco, il gruppo lavora a stretto contatto con altre figure, tra cui il produttore e lo stesso Donwood. Questo permette di raccogliere le influenze provenienti dall’intero team, potremmo dire in real time, e di ottenere una forte corrispondenza tra suoni e idee sviluppate. Incluso il design complessivo di ciascun progetto, sempre volutamente incentrato sulla parola, di cui vengono sfruttate le diverse sfaccettature subliminali.
La ricerca di Donwood privilegia l’osservazione della realtà «orrenda» del mondo, forse nel tentativo di affrontarla ed esorcizzarla, attraverso una più profonda informazione: una realtà non filtrata dai media, da lui fortemente criticati. Altro bersaglio delle sue riflessioni e della sua dichiarata avversione è sicuramente il mondo dell’advertising e il bombardamento mediatico che ne consegue, volto continuamente a commercializzare qualsiasi cosa.
Il suo stile vira dalla grafica propagandistica all’illustrazione introspettiva, ma in ogni sua opera è fortemente percepibile l’intento di combinare, con del sottile humour, il suo intimo punto di vista che raramente prescinde dalle sue convinzioni politiche. Temi delicati, sempre trattati con molto rispetto e senza mai rinunciare a una discreta e ironica leggerezza.
Anche nelle tecniche impiegate, Donwood sorprende e spiazza. Mentre ci si aspetterebbe un uso esasperato della grafica digitale – un’aspettativa legittima, considerate le influenze estremamente sperimentali contenute nelle musiche dei Radiohead – il ricorso alla manipolazione computerizzata delle immagini è, al contrario, assai marginale. Con uno sguardo rivolto spesso al passato, egli predilige mezzi di più ampio respiro, per dare spazio all’imperfezione scaturita dal lavoro manuale. L’incisione, la pittura o le stampe serigrafiche sono modalità pensate per trasgredire i margini del restrittivo packaging di bassa qualità utilizzato di solito per cd e vinili.
ALBUM COVER ART
La palette dai toni pallidi usata per le atmosfere un po’ cupe di Ok Computer (1997), richiama alla mente il cielo grigio che grava sulla tipica mentalità British. L’aspetto della cover è quello di una bozza imprecisa: doveva essere realizzata al computer – uno dei primi Mac – ma di comune accordo Donwood e Yorke avevano deciso di continuare a disegnare sempre sullo stesso file, sovrapponendo i vari ripensamenti sugli errori commessi in precedenza, senza poter eseguire un Undo tramite la scorciatoia Apple-Z. Gli ingredienti usati sono quelli del linguaggio grafico tipico dei segnali stradali o delle segnaletiche usate per le uscite di sicurezza, etc.
In Kid A (2000) e Amnesiac (2001) le atmosfere si fanno più cupe e tenebrose. Quella di Kid A, in particolare, fu ispirata da alcune foto della guerra in Kosovo che avevano sconvolto Donwood, perché poteva percepire tutta la familiarità e la vicinanza di quei luoghi. L’album era molto agorafobico, la musica richiamava alla mente paesaggi lontani. L’idea era quella di descrivere in immagini un campo di battaglia, abbandonato e pieno di detriti. Una metafora delle atrocità della guerra. Da qui, lo stile post-apocalittico della cover e la scelta di inserire l’immagine di alcune montagne sullo sfondo.
La sovversiva cover di Hail to the thief (2003) segna una svolta nel linguaggio grafico adottato da Donwood, che qui si ispira all’onirico paesaggio delle highways di LA, disseminate ovunque di cartelloni pubblicitari vistosi e colorati, studiati per attrarre l’attenzione. La loro frenetica e inquietante intensità è trasposta, nella copertina, in una singola immagine luminosa e multicolore, composta da una serie di parole che di solito ritroviamo nelle e-mail di spam e che qui subiscono una mutazione, trasformandosi in un pezzo d’arte ispirato al consumismo. I colori usati nascondono anche una riflessione ecologista: per quanto attraenti, derivano tutti dall’industria petrol-chimica. E per quanto accattivante, la nostra società è inquinata e dovremmo presto o tardi affrontarne le conseguenze.
In rainbows (2007) si carica ancora una volta di colori molto accesi e vibranti e anche le tecniche utilizzate diventano più sperimentali: aghi ipodermici, siringhe, inchiostro e cera fusa. Mentre in The King of Limbs (2011) Donwood dà libero sfogo alla sua passione per la stampa e realizza il primo “newspaper album”, con un packaging del tutto rivoluzionario in cui le sue artwork, di grande formato, sono raccolte in un contenitore di plastica oxodegradabile.
Discorso a parte va fatto per The Eraser (2006), album che segna la parentesi solista di Thom Yorke. Ispirata all’Espressionismo Tedesco, la cover riproduce in realtà solo una piccola porzione di una straordinaria serie di 14 lunghissime incisioni, che ritraggono diversi paesaggi dei dintorni londinesi invasi e distrutti da incendi e inondazioni. Il sapore catastrofico di queste opere nasce da un’idea di Yorke: rappresentare le forze naturali e inarrestabili che ignorano la volontà umana e che, in pochi istanti, possono spazzare via l’ambiente in cui viviamo.
Ciascuna cover realizzata da Donwood è solo una piccola parte di un discorso artistico più ampio – di cui solitamente Thom Yorke è complice sotto un nom de plum di volta in volta differente – e che spesso culmina in una mostra esplicativa dell’intera visione elaborata, come Red Maze, Londonsburning, FIFTY24SF che raccontano in modo più esteso e complesso la produzione artistica dei due inseparabili amici.
Link di approfondimento: