Roald Dahl: l’uomo che ha predetto chat GPT  19 Ottobre 2023 – Pubblicato in: imperfezioni

Sapete cosa c’è di più spaventoso del passare la domenica davanti ad un foglio bianco? Passare la domenica davanti a un foglio bianco con una consegna molto vicina. Non fraintendetemi, nell’epoca della riproducibilità tecnica e della corsa all’ideazione e all’elaborazione dei contenuti, credo sia normale prendersi lo spazio per fermarsi e per capire cose scrivere. 

Il problema arriva quando il cervello si blocca innescando fenomeni di auto-sabotaggio e l’unica cosa alla quale riesci a pensare è: perché qualcuno dovrebbe mettersi le calze insieme ai sandali? Ha caldo o ha freddo? Poi provi a scrivere qualcosa. E il risultato è un’altra domanda: l’ho scritto io o il gatto ha camminato sulla tastiera?

Il problema è che tu questo mondo dentro al cuore ce l’hai pure, ma proprio non riesci a descriverlo con le parole.

E pensi: chissà come deve essere un mondo dove non esiste più il blocco dello scrittore, anzi, meglio: chissà come deve essere un aggeggio che ti scrive, da solo, le storie. E allora qualcuno dirà: ma c’è chat GPT e allora io dirò: sì, ma hai mai letto il racconto Lo scrittore automatico di Roald Dahl? Sarebbe come calare chat GPT in una puntata di Black Mirror, comunque scritta prima dell’ultima stagione. Così mi pare di aver sentito. 

Se hai già letto il racconto, salta pure il prossimo paragrafo. In caso contrario, ti parlo al volo della trama. 

Il racconto è del 1953. Siamo all’interno di una ditta di ingegneria elettronica. Adolph Knipe, uomo alto, secco e un po’ sciatto, nonché uno dei dipendenti più brillanti, viene elogiato dal suo capo – Mr Bohlen – per aver contribuito alla creazione della calcolatrice più veloce al mondo. Knipe non è davvero soddisfatto però, perché dentro di sé sa di avere una passione più urgente: quella della scrittura. Peccato che gli editori non comprino i suoi racconti. Trova quindi il modo di creare un’altra macchina che si basa sulla raccolta di dati, in grado di riprodurre grandissime quantità di racconti a partire da indicazioni su trama, genere, tone of voice e parole. So già che stai capendo dove voglio andare a parare, infatti adesso arriva la parte alla Black Mirror. Adolph Knipe vuole vendicarsi del mondo dell’editoria, così respingente e ostile nei confronti della sua produzione. Si mette in affari con Mr Bohlen, prevedendo di far realizzare alla macchina una quantità di racconti tale da trasformarli in scrittori ricchi e di successo. Dopo varie incertezze legate al funzionamento corretto della macchina, i due non solo riescono nel loro intento, ma decidono di pagare una quota agli scrittori più affermati per chiedergli di smettere di scrivere. Alcuni accettano, ma perché capiscono che la macchina scrive storie migliori delle loro, secondo Knipe. Alla fine del racconto, scopriamo che a riferire i fatti è uno scrittore che ha declinato quest’offerta. Oh, Signore, dacci la forza di far morire di fame i nostri figli, dice. 

Il punto del discorso è che gli scrittori e le scrittrici, a un certo punto, diventano parte del sistema. Accettando di smettere di scrivere, rivedono nel riconoscimento passivo del loro lavoro una leva sufficiente per la rinuncia. Ma Knipe sa perfettamente a cosa attribuire questa scelta, e qui cito testualmente: 

«E sa perché ha firmato?» «Perché?» «Non l’ha fatto per i soldi. Ne ha da buttar via.» «E perché, allora?» Knipe sogghignò, alzando il labbro e scoprendo una gengiva superiore lunga e anemica. «Semplicemente perché ha visto che la roba scritta dalla macchina era migliore della sua.» Da allora Knipe stabilì saggiamente di concentrarsi solo sulla mediocrità. Evidentemente, tutti coloro che si sollevavano al di sopra di essa — ed erano comunque così pochi da non contare poi molto — non erano tanto facili da adescare.

Sostanzialmente è così che vedo l’utilizzo diretto e inalterato dei testi prodotti da chat GPT (ma posso parlare di qualunque altra AI generativa). Se usata in questo modo, continuerà a produrre testi mediocri rielaborati senza creatività e senso critico. Ovviamente non sono contro l’IA tout-court, penso sia uno strumento di supporto molto utile, soprattutto in fase di brainstorming e di sintesi delle idee. Ma non può essere una macchina che produce testi al posto nostro, se no poi finisce come il racconto di Dahl. Che tutto sommato oggi di fantascientifico ha ben poco. Ma ci sta, l’ha scritto 80 anni fa. 

Chiediamoci – però – se la proposta di Adolph Knipe, oggi, sarebbe un’offerta allettante o spaventosa. 

Chiediamoci se la possibilità di essere creativi e di avere un pensiero critico non sia il senso stesso del nostro essere qui, nel mondo. Per lasciare un segno artistico, tecnologico, spirituale. 

Okay, forse detta così sembra un po’ troppo risolutiva. 

Ecco, io penso che il senso della vita in realtà sia indossare le calze con i sandali. Metaforicamente, certo. 

foto pubblica con licenza CC



« Reazione poetica #1: Leggerezza, New Yorker e viaggi a Bagdad
Elogio dell’inutilità nella società della performance »