Le macchie chiare 25 Giugno 2022 – Pubblicato in: haiku
Una superficie piana – intatta e pura – comunica sempre fiducia e trasparenza: una tela vuota offre orizzonti infiniti e lascia spazio alla creatività. Le macchie, invece, rompono gli schemi perché spezzano un equilibrio prestabilito. Esse sporcano un piano lineare, tanto da avere l’impressione che non si possa più tornare indietro.
Così, come un dipinto può essere intaccato dall’azione approssimativa dell’uomo, anche la pelle è in grado di raccontare – in modo naturale (però) – una storia.
Quello proposto non è un riferimento astratto: si parla di vitiligine, una carenza o totale assenza di melanina in alcune parti del corpo. Una patologia cronica che in Italia coinvolge circa 7 persone su 1000.
La “diversità” in ogni sua forma, come è notorio, crea dibattito nella società e – spesso – manifesta la sua essenza con l’arte. Quest’ultima, dal canto suo, non fa altro che esprimere concetti, rappresentare le disuguaglianze e condividere i sentimenti della gente per mezzo delle discussioni che provoca ogni singola opera.
Gli stigmi sociali e l’arte
Recentemente, il giovane artista uganderse Martin Senkubuge ha realizzato alcuni lavori raffigurando soggetti affetti da vitiligine. Il dibattito ha riportato a galla lo stigma sociale che in Africa coinvolge la gente sul tema.
“Ho deciso di essere la voce visiva delle persone con vitiligine. – Ha dichiarato l’artista in un’intervista – Ho vinto una borsa per piccoli progetti (da 566 dollari) e ho cominciato a ritrarre la bellezza di questa patologia. Ricordo la storia di un uomo, padre e marito, che ha vissuto per oltre 30 anni spalmandosi sul viso una polvere di carbone mista a linfa di foglie di patata dolce. Non poteva permettersi il trucco. Indossava sempre camicie a maniche lunghe e guanti, e usava abiti lunghi e spessi anche durante la stagione calda. Ho deciso di ritrarre persone come lui, per restituire loro l’orgoglio”.
Colpisce il fatto che, a detta dello stesso Senkubuge, molti suoi conterranei – probabilmente non comprendendo le opere – inizialmente pensavano che lui, da persona nera, aspirasse a cambiare colore di pelle, un po’ sull’onda di Michael Jackson. Una considerazione che fa riflettere su come gli occhi siano colorati di tradizione più che di innovazione; di impulso ancor più che di razionalità. Solo in un secondo momento – con l’apertura mentale e la conoscenza – le macchie possono aspirare ad unirsi al resto del corpo, senza differenze, e l’arte può assolvere al suo ruolo sociale.