Nel labirinto della memoria 19 Giugno 2013 – Pubblicato in: imperfezioni
Le nostre esistenze, insieme agli oggetti che possediamo e usiamo quotidianamente, sono soggette all’inesorabile trasformazione del tempo. Ciò che alla percezione dei nostri sensi appare statico e invariabile in realtà è fluidamente in evoluzione. Tutto, si sa, è in continuo divenire.
Le architetture, gli spazi, i vestiti che indossiamo, le cose a cui siamo legati emotivamente e con cui solitamente tendiamo a identificarci, col tempo si impregnano invisibilmente di significati inconsci di cui tuttavia non abbiamo sentore.
Abbandoniamo oggetti in disuso perché ormai logori, lasciamo un luogo per trasferirci in un altro, ma una parte di noi resta in tutte le cose che ci sono appartenute e negli spazi che abbiamo abitato. Attraverso la materialità delle cose costruiamo i nostri ricordi, alcuni dei quali restano a lungo con noi, in una sorta di simbiosi nostalgica e reciproca.
L’intricata trama di memorie che resta sospesa nel tempo e nella nostra mente è resa tangibile nelle poetiche e delicate installazioni dell’artista giapponese Chiharu Shiota (1972, Osaka), il cui intento è di esplorare il legame sotteso tra passato e presente e le ansie che spesso ne emergono, tra ricordo e oblio, realtà e sogno, talvolta ripercorrendo a ritroso le tracce residue della propria infanzia.
Per le sue suggestive ambientazioni l’artista ricorre al recupero di letti, scarpe, vecchie valige, abiti, sedie, strumenti musicali, oggetti di uso quotidiano intrisi di vita vissuta. Persino scale e porte di edifici ormai demoliti, finestre rotte attraverso cui sono passati milioni di sguardi, vengono decontestualizzati e privati della loro funzione originaria, per assumere un significato emotivo e simbolico facilmente condivisibile da tutti.
Gli oggetti sono tuttavia avvolti da un inestricabile intreccio di fili di lana, neri o rossi, una ragnatela impenetrabile che Chiharu Shiota tesse instancabilmente per ore, fino ad ottenere un misterioso ordito in grado di assorbire completamente lo spazio occupato e che rappresenta la complessa estensione e trasposizione del suo pensiero.
Una fitta trama che concede solo la contemplazione degli oggetti intrappolati: distanti, oscurati e impossibili da raggiungere, essi simboleggiano una visione mentale, incorporea e lontana, appartenente a un tempo che ormai non c’è più.
Le scenografie risultanti appaiono come immagini cariche di un forte senso grafico, in cui il sovrapporsi anomalo e quasi ossessivo delle traiettorie create dall’artista produce una tensione esistenziale tra i concetti di presenza e assenza, di pieno e di vuoto.
Un incredibile tessuto che coi suoi nodi, le differenze di densità, le sue trasparenze, ricorda la trama irregolare della vita, la mappa di infinite possibilità e i molteplici percorsi tracciati da singole esistenze apparentemente slegate tra loro, che hanno accidentalmente condiviso il medesimo spazio e il medesimo tempo.
Invischiata all’interno di questa traboccante entropia resta la dimensione del ricordo individuale e collettivo insieme, la nostra percezione del tempo e dello spazio privati però della nostra presenza e resi osservabili in modo distaccato e obiettivo.
Nelle sue opere, Chiharu Shiota sintetizza a un tempo la tradizione giapponese del calligrafismo (Shodō) – incentrata sull’affinamento interiore raggiungibile tramite un intenso stato di concentrazione, che culmina nell’irripetibile gesto pittorico dell’artista – e la lezione appresa dal metodo di Marina Abramovic, secondo il quale l’artista deve raggiungere uno stato quasi ascetico di concentrazione meditativa per produrre, infine, un atto apparentemente semplice ma colmo di significato.
Sito ufficiale
Photo Credits © Chiharu Shiota