Pausa sigaretta 3 Dicembre 2012 – Pubblicato in: interferenze
In una memorabile lezione sull’indugio narrativo, Umberto Eco affermava (confessando una lunga e attenta osservazione sul campo) che la caratteristica fondante del genere pornografico sia il “raccontare tutto”, comprese le parti meno rilevanti.
Non sempre l’indugio è indice di nobiltà. Una volta mi sono posto il problema di come stabilire scientificamente se un film sia pornografico o meno. […] io ho deciso che esiste una regola infallibile. Si deve controllare se in un film, quando un personaggio sale su un’automobile o su un ascensore, il tempo del discorso coincide col tempo della storia. […] In un film porno se qualcuno sale in macchina per andare dieci blocchi più lontano, la macchina viaggia per dieci blocchi – in tempo reale. Se qualcuno apre il frigorifero e si versa una birra per bersela poi in poltrona dopo avere acceso il televisore, l’azione prende tanto tempo quanto ne prenderebbe a voi se faceste a casa vostra la stessa cosa
Ora: io non ho grande dimestichezza col porno, ma sono sicuro che se il prof. Eco fosse venuto con me a Firenze, al Festival dei Popoli, si sarebbe visto costretto ad inserire nella sua geniale categoria dei “troppo lenti” anche il genere documentario.
Occorre dire che entrambi i generi – il porno e il doc – sono raccomandati a pazienze migliori delle nostre: noi siamo presi dalla fretta di dire tutto e andare al dunque, per non sgonfiarci.
Ma affrontando da profano la full immersion di questo importante festival, credo almeno di aver capito due verità generali: la prima è che tutti i documentari mancano di ellissi narrative, e la seconda è che questo è uno dei pochissimi tratti che li differenzia dal cinema di fiction (non entro sul tema, che ho scoperto molto più complesso e discusso di quanto si pensi).
Nel porno la giustificazione dei “momenti morti” è semplice:
Occorre distribuire gli atti sessuali nel corso di una storia. Ma nessuno ha intenzione di spendere immaginazione e denaro per concepire una storia degna di attenzione, né lo spettatore è interessato alla storia perché attende solo gli atti sessuali. La storia si riduce quindi a una serie minimale di eventi quotidiani, come andare in un posto, indossare un cappotto, bere un whisky, parlare di cose irrilevanti, ed è economicamente più conveniente riprendere per cinque minuti un signore che guida un’automobile che coinvolgerlo in una sparatoria.
Nel documentario contemporaneo, invece, si tratta di una vera e propria scelta di poetica. Non è oggettività, perché ogni inquadratura è comunque a servizio di un messaggio, e presuppone una scelta di soggetto, di taglio, di tempi: è piuttosto una simulazione di oggettività. Perché al contrario di quanto accade nelle grandi storie di finzione che piacciono a noi impazienti, la realtà è costellata di esitazioni, discorsi a vuoto, sguardi nel vuoto, silenzi vuoti, vicoli ciechi, attese di niente. La nostra vita è una continua “pausa sigaretta”.
Con questi pensieri in testa, passato da Firenze a Torino, da festival a festival, ho assistito alla proiezione del secondo film di Gipi (in concorso al TFF), dal titolo “Smettere di fumare fumando”. Illuminante. Il regista si è imperfettissimamente filmato con una telecamerina nei drammatici primi dieci giorni senza sigarette, montando il girato sera per sera. Ovviamente (come sempre quando si è sinceri) il focus si allarga subito rispetto al tema centrale, e arriva a scoprire i luoghi, gli amici, le angosce, le comicità, i fantasmi surreali di una vita vera.
Dopo “L’ultimo terrestre” [il film precedente, N.d.R.] ero stato abbastanza male. Il punto è che non riuscivo più a scrivere storie. Mi sentivo completamente svuotato, in un blocco creativo ed emozionale totale. Dovevo riempire la testa con qualcos’altro, fumavo quaranta sigarette al giorno
E qui l’idea geniale: provare a strappare la sigaretta alla “pausa sigaretta”, per provare a riempire la testa con qualcos’altro, togliendo uno degli alibi più ghiotti dei nostri momenti di niente. Per affrontare il niente e le sue mostruosità. Chi ha smesso di fumare sa quanto si allunghino i tempi morti, e impara a sentirli, a contare i minuti, ad aspettare al tavolo mentre gli amici sono già fuori da un po’. Impara che una pausa è una pausa enorme, se non la elidi o non la riempi.
Avevo bisogno di un momento di creatività libera e vera, per poter tornare finalmente stupido. Ho fatto questa cosa così, mettendoci tutto quello che mi sentivo, con l’idea di non farla vedere a nessuno. Pazienza se adesso a dire così vi sembro il re dei paraculo. Pazienza se è brutto, pazienza se è imbarazzante. L’ho fatta a scopo terapeutico, per vedere se ce la facevo ancora. Altrimenti non avrei resistito.
Illuminante. La parola d’ordine è resistere. Nella maniera meno distruttiva possibile. Che sia resistere a un vizio o a un periodo no, al freddo di febbraio attendendo sotto un ponte l’asilo politico (La nuit remue di Bijan Anquetil), alla prospettiva di dover abbandonare il proprio villaggio per fare posto a un resort (La lingua cinese di Alessandro Baltera e Matteo Tortone), alla mortificazione morale, fisica e ambientale perpetrata dall’ ILVA a Taranto (nel materiale raccolto da Paolo Pisanelli), all’uragano Katrina o a un abbandono (è il parallelismo al centro del bellissimo As she left di Alexandra Longuet), o anche solo alle sale semivuote di una Firenze piovosa durante la proiezione di questi film. Andare piano, per non cadere: ecco il punto comune a tanti indugi.
In questo nostro mondo tramortito, in pausa, che promette e non mantiene e in cui la delusione è sempre commisurata alle speranze, noi stiamo resistendo. Non solo: stiamo provando a raccontarlo. Dando ai momenti vuoti tutto il loro vuoto, perché è ciò che conosciamo meglio.
A volte non capisco: faccio un lavoro che mi piace. Ho una fidanzata bellissima, le cose mi girano bene, eppure non mi passa questa voglia che c’ho di morire. Perché ho scoperto fin dove arriva la violenza.
Con Gipi ha funzionato: ha appena chiuso il suo nuovo film -un film “un po’ più normale”, dice lui – e non fuma da otto mesi.
Quanto a noi, stiamo a vedere. Sperando che ci tocchi una sorte da film porno: lì dopo il momento morto viene sempre una parte interessante. E in ogni caso, non si arriva mai alla fine.
APPROFONDIMENTI
- La lezione di Umberto Eco fa parte di un ciclo di incontri tenuti ad Harvard, e pubblicati col titolo di “Sei passeggiate nei boschi narrativi”, Bompiani 2000
http://bompiani.rcslibri.corriere.it/libro/4651_sei_passeggiate_nei_boschi_nar_eco.html
- Il Festival dei popoli è un’importante kermesse dedicata al documentario, la cui 53a edizione si è tenuta a Firenze dal 10 al 17 novembre 2012
http://www.festivaldeipopoli.org/
- Gipi, che al cinema si firma Gian Alfonso Pacinotti, è anche celebre fumettista e illustratore. Ha un blog molto sincero, dove parla di sé e dei suoi lavori
http://giannigipi.blogspot.it/
- “L’ultimo terrestre”è un film molto bello e profondo, per quanto accolto piuttosto freddamente. Lo consiglio, anche perché in tema: racconta di un mondo periferico e disperato che attende con umori diversi un’invasione extraterrestre
http://www.ultimoterrestre.it/
DOCUMENTARI CITATI
- La nuit remue di Bijan Anquetil
- Swahili Tales è una trilogia di cortometraggi di Alessandro Baltera e Matteo Tortone, di cui fa parte “La lingua cinese”
- Il documentarista Paolo Pisanelli ha presentato in anteprima al festival il progetto su cui sta lavorando, col titolo provvisorio di “Storie di Taranto“
- As she left di Alexandra Longuet
- Sofia’s last ambulance di Ilian Metev (trailer) ha vinto il premio per la Miglior regia al 53° Festival dei Popoli
1 Comment
Giovanni Dicembre 06, 2012 - 23:44
sono veramente curioso di vedere il film di Gipi. E’ un personaggio interessante a quanto pare. Sarà divertente vederlo armeggiare con la telecamera in preda a dei deliri alla ricerca di dimenticare la siga..