Il terzo fattore 26 Settembre 2012 – Pubblicato in: imperfezioni


Tra le molte cose che dovremmo invidiare a un computer, c’è forse quella maniera manichea di ragionare, a 0/1, spento/acceso. Assomiglia in questo a noi da giovani, quando non prendevamo sul serio una via di mezzo tra il giusto e lo sbagliato, lo faccio o non lo faccio, lei o l’altra, il giorno e la notte. Nessun indugio.

Poi con gli anni e l’accumulo dei dubbi certi spigoli si limano e le foto perdono via via di contrasto, le buone ragioni sono solo più buone opinioni, e finiamo per credere che davvero ci sia un terzo fattore. Per dirla con De Gregori: l’America.

Non penso sia un caso che l’autobiografia dell’ultranovantenne Franca Valeri, fin dal titolo (“Bugiarda no, reticente”), si premuri di ricordarci che una via di mezzo (o di fuga) si trova sempre. Un senso ribadito e rimasticato, con varietà e signorilità invidiabili, nel più recente testo teatrale della Valeri, “Non tutto è risolto”.

In una vecchia casa c’è una vecchia stufa spenta, e la vecchia contessa Matilde capitata lì senza un motivo.

ANGELE: Abbiamo finto di arrivarci per caso. E creare la casualità non è facile. Con Matilde mi sono specializzata. Lei non sopporta di avere un destino, o almeno un programma. Ci si sveglia ogni giorno con un vuoto da riempire.

Porta con sé Angèle, la segretaria da tutta una vita, mentre trova sul posto Milly (che riadatta a cameriera) e Manfred (il figlio che rinnega). La contessa ha alle spalle un passato fiammeggiante – che curiosamente l’accomuna alla stufa – quando ancora non aveva bisogno di cappelli vistosi per tenere caldi i pensieri; Angèle un ventennio di devozione sfiancante, Milly e Manfred i loro abbandoni. Per loro fortuna, tra le molte cose che un computer ci dovrebbe invidiare, c’è la capacità di non ricordare.

ANGELE: […] Si possono avere ricordi confusi ma le idee chiare // CONTESSA: Sììì // ANGELE: C’è uno stretto rapporto fra i ricordi e le idee. Sa quanti ne inventano le persone di ricordi? // CONTESSA: Le persone? non ne faccio parte. Ma anche avendo un passato piuttosto lungo… // ANGELE: … Si può sempre scegliere quello che si vuole ricordare.

CONTESSA: La vita non è abbastanza interessante per ricordarla…i nostalgici sono quelli che si accontentano…potrei io essere contenta di aver avuto un bambino e un cappello di paglia rosa? Tanto da ricordarlo? Questo mi condannerebbe ad aver avuto una vita inutile.

C’è quel terzo fattore magico, tra la memoria e l’oblio, che è l’immaginazione: d’altro canto se non avessimo bisogno di vivere almeno un’altra vita, credo non esisterebbe la fantasia. E credo che se i personaggi di questa commedia fossero felici, non giocherebbero a mettere tra vero e falso così tante storie. Invece si sfiniscono con “questo gioco di identità che ci diverte a tavola”, scambiandosi ruoli, nomi, rapporti, condividendo un mondo di finzione in cui “vivere insieme vuol dire tutto fuorché conoscersi”.

ANGELE: […] non siamo nessuna di quelle che siamo // MANFRED: Si potrebbe inventare qualche cosa…una storia un po’ particolare // ANGELE: Ce l’ho pronta […] Sarebbe in realtà molto più interessante la verità, ma fatico a ricordarmela.

I saputelli obietteranno che il teatro come gioco d’identità è già stato detto e ridetto. E potrebbero notare come in vari punti questo testo sia di fatto un esercizio di riscrittura su “Finale di partita” di Beckett. Però si può ribattere che qualcosa di profondo ripetuto tante volte vale sempre di più di una stronzata mai sentita prima (c’è anche qui il terzo caso, quello sciagurato della stronzata ripetute tante volte).

Anche perché quest’opera è una voce che viene dall’età più invidiabile per uno scrittore, quel limbo tra la vita in senso stretto e il Dopo: il momento “terzo” in cui si può più dire solo ciò che è necessario, che vorremmo rimanesse di noi, nel modo più pregnante possibile. La contessa ce lo ripete:

Siamo intonse, cara…pronte per cominciare un’altra vita…ti rifiuti a ogni possibilità di essere una stufa, di funzionare come una stufa?…sì, certo, anch’io di continuare a vivere….no, cara, non penso al suicidio, la morte non prevede di vederci rinati…su questo punto continua a mantenere il riserbo…Mi serve una svolta, tesoro.

Solo da questo spazio di sospensione può nascere un testo così deliziosamente aforismatico, con tante sentenze ardite e osservazioni fulminanti su ogni argomento (noi da giovani le avremmo appuntate sulla Smemo), accumulate nel corso di un’esistenza lunga e attenta. Un testo in cui “la verità – a parte che è la cosa meno interessante della vita – c’entra poco”, e che pure ha il taglio mozzafiato delle cose più urgenti.

La scorsa stagione ho avuto la fortuna di vedere rappresentata l’opera, al teatro Carignano, per la regia di Giuseppe Marini. Ricordo che alla prima battuta della Valeri scoppiò un mormorio. Perché tra l’elegantissima signora del nostro teatro (“negligente, puttana, Vip, di tutto un po’ e di più…viva però”) e la vecchia contessa decaduta del libro c’è un terzo essere intermedio, l’anziana attrice che le dà voce. Ed è una voce così ondivaga, così incredibilmente confusa di forti e di piano, che davvero pare la sequenza di accesi e di spenti che muove i computer. E’ una voce che detta il suo ritmo e accompagna in un’interpretazione abbagliante, anche più di quella di Licia Maglietta, Urbano Barberini e Gabriella Franchini che la affiancano. A chi mi chiederà com’è Franca Valeri in scena non penso lo racconterò, perché non penso di saperlo raccontare.

Si crea il senso di una fine lunga che non finisce, che si vorrebbe conclusa e perfetta – d’altronde “Nelle partite e nelle commedie l’importante è il finale” – quando invece tocca sempre ammettere che Non tutto è risolto.

(La contessa si ferma improvvisamente e si siede. Milli vicina a lei, ferma, in piedi) // “CONTESSA: Milli, e la stufa?// MILLI: Ormai… // CONTESSA: Lasciarla qui…è una sconfitta // […] MILLI: Io conosco un trasportatore…che mi fa anche il filo, basta dirgli dove deve portarla // CONTESSA (si alza di scatto): Ecco. Questo rimane in sospeso.” (Esce decisa, seguita da Milli) // BUIO.

Mi ricordo poi che tra quel buio e la standing ovation che seguì, ci fu davvero qualcosa in sospeso. Il “terzo fattore”: un silenzio generale, che attende forse un rientro o una parola.

E se fosse vero, che l’indugio è una cosa che si scopre e che si impara? D’altronde, ho visto più di un vecchio computer esitare.

Il libro

Lo spettacolo

 Trailer ufficiale

Un’intervista

Prima parte

Seconda parte



« Architettura, anomalie e percezione dinamica
Arte e geometria »