La poesia dell’essenziale 7 Gennaio 2015 – Pubblicato in: imperfezioni
Se a qualcuno venisse in mente di racchiudere in una metafora lo strano mondo immaginifico di Isidro Ferrer (Madrid, 1963), con tutta probabilità prenderebbe a prestito la caffettiera per versi sognata dal machadiano Juan de Mairena: da un lato entra il mondo, dall’altro sale la poesia.
È così che l’eccezionale grafico e illustratore spagnolo, una curiosità e un appetito insaziabili per la ricerca intellettuale, elabora la realtà che lo circonda, divorandola con gli occhi per poi traslarla in una dimensione parallela, fatta di poesia visiva, impalpabile e al contempo materica.
L’abitudine al paradosso visivo, il costante gioco di volumi, l’approccio scenografico nella costruzione delle immagini, sono forse diretta espressione della vocazione teatrale iniziale. La creatività di Isidro Ferrer affonda, infatti, le sue radici proprio nel mondo del teatro: giovanissimo, decide di frequentare la Lecoq International School of Theater a Parigi, dove si diploma in Arte Drammatica e Scenografia. Ed è a Parigi che, lavorando come artista di strada con un suo teatrino davanti al Beaubourg, si appassiona al racconto per immagini.
Nonostante il suo talento, tuttavia, il suo percorso è deviato da un incidente che lo costringe ad abbandonare il palcoscenico per tornare a Barcellona, dove invece di arrendersi intraprende un decisivo apprendistato nel famoso studio di Peret, da cui trarrà alcuni degli elementi che definiranno più tardi il suo stile inconfondibile.
Il suo laboratorio, nascosto in una piazza appartata nel centro storico di Huesca (Saragozza), è uno spazio luminoso e affollato di disegni e pezzi fatti a mano che coesistono con manifesti, libri illustrati per bambini e materiali di ogni genere.
Qui egli riempie le ore con personaggi magici, atmosfere scaturite dai sogni, poesia e metafore visive, con le quali costantemente inventa immagini cariche di surrealismo, nel tentativo di ridurre la complessità del mondo a un piccolo universo di figure essenziali. Le sue idee emanano una leggera ironia ed un umorismo intelligente, aromi intuitivi percepibili solo attraverso il filtro dell’inconscio.
Nelle sue mani, oggetti di uso quotidiano vengono umanizzati o trasfigurati al punto da assumere sembianze animali; pezzi contrastanti vengono accostati per acquisire un senso inaspettato, in un gioco di associazioni mentali che spiazza e seduce l’osservatore, della cui complicità Isidro è sempre ghiotto.
L’indiscutibile virtuosismo tecnico che lo contraddistingue, la profondità del processo creativo, la meticolosità nella cura dei dettagli, la molteplicità di linguaggi e registri che domina, ne fanno da anni una figura di riferimento nel campo della comunicazione visiva internazionale.
Il suo lavoro è ricco di influenze, di echi provenienti dal mondo dell’arte, dell’espressione teatrale, poetici e letterari. Neruda, Borges, Picasso, Bruno Munari, Hugo Pratt, Saul Bass, sono solo alcuni dei maestri a cui attinge. Eppure, Isidro Ferrer non può definirsi un artista, conscio del fatto che il graphic design muove da intenzioni diverse da quelle dell’arte pura.
La comunicazione visiva è il modo che ha l’uomo di approssimare il reale all’ideale. E così, gestendo argomenti utopici, dichiara il suo intento di migliorare la realtà stessa. Isidro mostra inoltre scarso interesse nei confronti del discorso stilistico, mentre ricerca incessantemente la definizione della forma:
Lo stile, o universo come preferisco chiamarlo, è uno spazio in continua evoluzione che è collegato con il nostro background, con ciò che siamo noi, con ciò che ci alimenta, con tutti quegli stimoli che ci portano a fare le cose. La forma è la realizzazione delle nostre possibilità costruttive, ciò che siamo capaci di fare nel regno del manuale. La forma è il risultato di tutti i nostri limiti, e proprio grazie a questi limiti siamo riconoscibili. Isidro Ferrer
La passione per le tecniche manuali, e il tentativo di fare un uso non invasivo delle possibilità digitali, non sono tuttavia il frutto di un atteggiamento anacrostico, di un rifiuto del progresso dei tempi, ma il sedimento di un animo romantico e un po’ all’antica, che ancora si lega sensibilmente alle relazioni analogiche, al dare rilievo al senso del tatto e non esclusivamente a quello della vista.
È ancora bello toccare le cose, sentire le persone accanto a sé, percepire fisicamente il mondo che lo circonda. Così come il lento trascorrere del tempo, il suo tempo, di cui si dichiara estremamente geloso.
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