CHE NERI QUEI FRUTTI 26 Luglio 2025 – Pubblicato in: interferenze
Se esiste il destino, sicuramente è beffardo.
Esso si rivela infatti solo nelle coincidenze che, sardoniche e frastornanti, lo sono per definizione.
Molti avvenimenti spingono a interrogarsi sull’esistenza del fato, suprema e ineluttabile volontà di un onnipotente figuro misterioso. Molti avvenimenti, sì.
Alcuni più di altri.

L’esemplarità è condizione a cui tendere.
L’esemplarità è condizione a cui tendere?
Non nell’ambito delle coincidenze perlomeno.
Non se stiamo parlando di fato.
Lì, il divenir modello, è da rifuggir con ogni mezzo.
Ma se il destino è destino, ahimè non vi si può fuggire.
Perché esso, se esiste, sicuramente è beffardo, e Henry Ziegland, in vita sua, l’ha appreso al prezzo più caro: la vita stessa.
È una storia di proiettili, esplosioni, vendette e drammi familiari, lo dico subito. Insomma, una storia da Contea di Fannin, nel Texas, che però, sin dal nome della città, subodora di tragicomico.
Siamo nel 1893, a Honey Grove, “La più dolce cittadina del Texas” – recita il cartello stradale di benvenuto.
Henry Ziegland è un giovane della zona. Non importa di cosa si occupa, come sbarca il lunario, come trascorre il tempo libero. La sua è una storia di morte e di assurdità, e né l’una né l’altra si preoccupano di far distinzione di ceto o di cultura. Importa però che sia fidanzato, perché l’amore e la morte sono amichette con le trecce bionde che si fanno le pernacchie.
Il nome della ragazza non è sopravvissuto al logorio della Storia, a dimostrazione di quanto anch’essa sia beffarda. Di come la morte, l’amore e l’ingiustizia siano facce della stessa non euclidea medaglia del destino. Ma comunque una ragazza c’era, “la ragazza di Henry Ziegland”, e, da come capirete, a Henry Ziegland gli voleva bene. Davvero. E quando lui, di punto in bianco, un giorno le ha detto «basta, è finita», lei ha deciso di farla finita davvero. Come si sia strappata la vita di dosso non ve lo dico, a voi pornografi della violenza, a voi voyeur della tragedia, a voi chierichetti dell’apocalisse. Vi basti sapere che prima era viva, fidanzata e innamorata, e dopo era morta, single e innamorata.

Ma “la ragazza di Henry Ziegland” era amata a sua volta. Non da Henry Ziegland evidentemente, ma di sicuro dal fratello: “il fratello della ragazza di Henry Ziegland”.
Appresa la notizia del suicidio della sorella, e soprattutto appreso il motivo scatenante del suicido della sorella, “Il fratello della ragazza di Henry Ziegland” imbraccia il fucile e si mette in marcia verso la casa di Henry.
Per amore, ho detto. Sono un romantico; come non lo è il destino. Forse, visti i tempi, avrei dovuto dire per difendere l’onore della sorella e vendicare la sua fine. O forse, ancora, per difendere il proprio onore e vendicare il proprio ego di maschio ferito.
Amore e onore, oltre a far rima, fanno anche comunella. Oltre a condividere tre lettere, spesso, ahimè, condividono anche il significato. E quando capita, lo si perde: si perde il significato, si perde l’amore, si perde l’onore.
Ma insomma, se fosse amore o se fosse onore poco importa alla vicenda, quel che importa è che quell’uomo offeso nel cuore o nell’orgoglio ha preso il fucile, l’ha caricato, s’è messo in marcia verso la casa di colui che sarebbe dovuto diventare suo cognato, s’è acquattato tra i cespugli che cingevano il suo giardino e lì ha aspettato. Col dito che fremeva accarezzando il grilletto. Con le iridi piene delle immagini della sorella morta. Col cervello inceppato sulla parola ‘vendetta’.
Ed ecco Henry Ziegland aprir la porta e fermarsi un po’ sull’uscio. A contemplare il cielo, forse, e a respirar la brezza di quel giorno nuovo. Oppure, forse, a cercare il volto de “la ragazza di Henry Ziegland” in ogni cosa viva che attornia la casa: nel sole nascosto da nubi, nell’erba quasi secca, nella cavalletta che zirla molesta e nelle foglie ruvide come carta vetrata del vecchio anacua piantato nel centro del giardino. Sì, deve averci visto qualcosa in quella corteccia grigia coperta da squame scrostate. Ziegland getta la sigaretta a terra, la soffoca con la punta dello stivale, poi s’appropinqua a passo svelto verso quell’albero aspro e grinzoso. Gli si para davanti, lo squadra dalle radici alle fronde, analizza i luminosi frutti arancioni a forma di drupe ancora attaccati ai rami e poi quelli che invece stanno marcendo a terra. E propri lì, sulle carcasse di frutta, un’ombra di uomo si staglia e s’allunga, sommandosi alla sua.
Che scuri quei frutti.
Henry si gira, e mentre si gira, in cuor suo, già lo sa che cosa l’attende. Sente l’odore di polvere da sparo. Sente l’olezzo del mancato cognato. Incrocia il suo sguardo per un pezzo minuscolo di secondo prima che lo scoppio annunci il bossolo che gli si affonda nella guancia.
Poi nero, poi frutti marci, poi nulla, per Henry.
Che neri quei frutti.
Henry Ziegland però non ha soltanto il cuor di pietra, ma anche il cranio evidentemente, e, soprattutto, ha il destino dalla sua parte. Dischiude le palpebre; le ciglia bruciate dal sole e ispide di terra gli si sono attorcigliate per lo scoppio a bruciapelo. S’alza in piedi. Ha solo la guancia un po’ sfregiata ma per il resto sta come prima. “Il fratello della ragazza di Henry Ziegland” invece è accasciato a terra, tra le radici, con la canna del fucile stretta tra i denti e la testa spappolata come frutta. Henry raccoglie il proprio cappello da terra, se lo infila in testa poi si accende una sigaretta. Si gira verso l’anacua alle sue spalle e con il pollice ne accarezza un foro perfettamente tondo. Il bossolo è lì, piantato nel tronco, e lì rimarrà fino al 1913.

Sono passati vent’anni, esatti esatti, tondi tondi. Henry Ziegland è un uomo adulto. “La ragazza di Henry Ziegland” e “Il fratello della ragazza di Henry Ziegland” sono per lui solo un lontano ricordo. Qualcosa che è successo, sì, ma forse a qualcun altro. Henry apre la porta e si ferma un po’ sull’uscio a contemplare il cielo e a respirar la brezza di quel giorno nuovo. Scruta il sole nascosto dalle nubi, contempla l’erba quasi secca e tende l’orecchio verso la cavalletta che zirla molesta. Getta la sigaretta a terra, la soffoca con la punta dello stivale, poi s’appropinqua a passo svelto verso il vecchio anacua piantato nel centro del giardino. Gli si para davanti, lo squadra dalle radici alle fronde, analizza i luminosi frutti arancioni a forma di drupe ancora attaccati ai rami e poi quelli che invece stanno marcendo a terra. Accarezza la squamosa corteccia grigia: non una crepa o un foro o un tarlo. Li porta bene i suoi anni.
«Lo tiriamo giù oggi!» urla Henry a “La moglie di Henry Ziegland” che lo guarda dalla finestra.
«Sicuro caro?»
«Prima o poi va fatto se vogliamo allargare casa.»
«Ma non sarà pericoloso?»
Henry, da buon texano, non risponde a quella che, più che come una domanda, risuona alle sue orecchie come una provocazione. Si limita a sputare per terra. Gira i tacchi, torna in casa, sale in mansarda e prende la dinamite. Torna giù: sigaretta stretta tra i denti, occhi schiacciati da ciglia determinate, candelotti avvinghiati da mani nervose e sporche di terra.
“La moglie di Henry Ziegland” lo guarda sfilare dinnanzi a sé e intanto beve un caffè lungo da una tazza di porcellana.
«Sta attento Henry.»
«Cara, non sono mica una donnetta di città.»
Henry esce e marcia verso l’albero come se quello fosse un repubblicano. Con la vanga scava una buca tra le radici e i frutti marci, poi ci infila tre candelotti. Prende il fiammifero. Accende una sigaretta poi attizza la lunga miccia della dinamite. Con un calma propria di chi sa quel che fa, Henry s’allontana dall’albero calpestando i frutti che gli s’incollano alle suole degli stivali e si posiziona sotto alla finestra dove sta sua moglie. Le scintille spariscono nella luce del giorno ma lo scoppiettio resiste e zittisce il canto della cavalletta. La miccia s’accorcia, la fiammella avanza e ora è ad un soffio dai candelotti.
“La moglie di Henry Ziegland” fissa il tronco dell’anacua. Attende lo scoppio, e lo scoppio arriva. Il caffè le vibra tra le mani, le finestre le oscillano davanti agli occhi, l’erba si flette sotto l’onda d’urto dell’esplosione, alcuni frutti si sollevano da terra, il tronco si squarcia, s’apre come a spicchi, vince la gravità, s’unisce al cielo in forma di polvere.
«Henry!» stride la donna sovraeccitata «Bel lavoro! Che botto!»
Ma c’è solo il canto della cavalletta, ora, a risuonar nell’aria, e, in sottofondo, il lontano eco dell’esplosione.
«Henry! Henry?»
Ma Henry Ziegland non la può sentire. È accasciato a terra con un piccolo foro in mezzo agli occhi. Morto.
Lo scoppio ha squarciato il tronco e ha lanciato in aria il proiettile che da vent’anni aspettava il proprio momento al suo interno.
Il proiettile de “Il fratello della ragazza di Henry Ziegland” ha finalmente trovato il modo di raggiungere il suo destinatario.
Il destino, a quanto pare, è proprio beffardo.