L’ambiguità di un istante 14 Novembre 2012 – Pubblicato in: imperfezioni
La nostra quotidianità, il più delle volte, si consuma nel sopportare silenziose solitudini che si protraggono per lunghi periodi senza la possibilità di essere risolte. Il meglio che possiamo fare, ci ripetiamo, è di andare avanti nel tentativo di muoverci come equilibristi sul filo di situazioni che sembrano sempre in procinto di esplodere. Con cautela, giorno dopo giorno, disinneschiamo la realtà, nascondendo i conflitti interiori, perché tutto possa continuare indisturbato così com’è. Almeno, fino al giorno seguente.
Nelle tele iperrealiste di Jeremy Geddes (Melbourne, Australia), qualcosa invece è andato storto. Qualcosa improvvisamente si è rotto irrimediabilmente e quell’equilibrio gelosamente protetto per lungo tempo, d’un tratto è perduto per sempre.
L’alienazione che è stata fatta forzatamente tacere, si è trasformata nell’energia cinetica devastante di un’emozione estrema.
Nel fragore di un istante, tutto rimane sospeso nel vuoto perfetto di un’esplosione inspiegabile che travolge le ambientazioni della normalità, frantumandole e lasciando emergere un punto di domanda nella mente di chi osserva la scena, svegliandolo finalmente dal suo torpore: che cos’è accaduto? Chi ha provocato tutto questo?
I cosmonauti fluttuanti in paesaggi urbani desolati e fatiscenti, naufraghi siderali scaraventati goffamente sull’asfalto urbano – forse nell’estremo tentativo di riappropriarsi di sensazioni umane e concrete ormai perdute – sono spesso legati a un filo che si perde al di là dei margini della tela, a lasciare intuire la presenza di qualcosa di più grande e inquietante, ma soprattutto di interrotto e non visibile, celato per il momento alla nostra percezione.
Abbiamo pochi indizi per riuscire a capire cosa può aver provocato il dissesto di un intero edificio o la deflagrazione che ha scaraventato, sospendendola in aria, la delicata e inerme figura al centro della stanza.
Nelle opere più complesse di Geddes, il punto di rottura viene indicato in una luce quasi mistica: una luce che illumina la scena come a voler focalizzare tutta la nostra attenzione sui riverberi intimi e le inquietudini vissute dai protagonisti e svelate infine agli occhi di tutti. A queste, tuttavia, si contrappone una serie di piccole tele che dispongono di un unico soggetto isolato che galleggia in un vuoto assoluto e nel buio più profondo: figure umane solitarie, piccioni o moduli lunari intrappolati in un nulla silenzioso, privo di gravità.
L’espressione pittorica di Jeremy Geddes si avvale di una tecnica sbalorditiva che consente una meticolosa resa della realtà ed una tale attenzione al dettaglio da imprimere a ciascuna tela l’intensità di un’istantanea, sfiorandone di poco la perfezione rappresentativa.
In un arduo processo preliminare di osservazione scrupolosa, errori e sperimentazioni successive, ogni tela prende lentamente forma, risolvendo gradualmente questioni di composizione, colore e tono. Poi l’artista inizia a formulare i livelli di pittura definitivi, su cui infine sovrappone una serie di delicati strati di smalto che aggiungono ulteriormente luminosità e precisione al dipinto finale.
Mentre in passato ogni elemento della composizione era strettamente controllato per ottenere un certo tipo di interpretazione, col tempo questa forzatura è sbiadita fino ad ottenere una struttura narrativa più ambigua, con l’intento di lasciar emergere non tanto un’interpretazione univoca quanto le molteplici sfumature di domande irrisolte.
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