Fragili interferenze 21 Settembre 2015 – Pubblicato in: imperfezioni
Sospesi in una dimensione illusoria e poetica, gli abiti creati da Ying Gao appaiono come in bilico tra la condizione di oggetti d’arte concettuale e il frutto di un’affascinante esplorazione nell’intricato territorio delle tecnologie sensoriali.
Come misteriose e attraenti creature cinetiche, essi si schiudono, respirano, si trasformano impercettibilmente. I contorni fisici del corpo che racchiudono sono modificati da interferenze esterne (suoni, luci, movimento, sguardi) e l’abito si muove in un reame di aleatorietà che lo rende simile a un fragilissimo bozzolo protettivo.
La ricerca di Ying Gao – designer e docente presso l’UQAM (Université du Québec à Montréal) – esplora la costruzione dell’abito ponendone in discussione la concezione comune tramite creazioni interattive che esprimono e idealizzano la relazione tra l’abito stesso e l’ambiente che lo circonda.
Nel suo lavoro il fashion design si fa pretesto per riflessioni più complesse che combinano in modo inconsueto l’architettura, il design urbano e le tecniche multimediali, investigando le profonde mutazioni subite dal contesto sociale e urbano contemporaneo a causa della diffusione massiva delle tecnologie avanzate, e veicolando una critica radicale che trascende i limiti della mera sperimentazione tecnologica.
Il movimento è uno degli aspetti chiave della serie di progetti interattivi ideati da Ying Gao negli ultimi anni, e mentre in apparenza le linee minimali dei suoi abiti disegnano una delicata silhouette, la loro superficie nasconde un elaborato intreccio di dispositivi elettronici o meccanici che rendono le fibre tessili ipersensibili nei confronti delle sollecitazioni esterne.
(No)where (Now)here è una serie composta da due abiti in super organza e filo fotoluminescente, realizzati con tecnologia eye tracking integrata, in grado di attivarsi con gli sguardi degli spettatori. In essi il movimento crea ipnotici patterns che, al buio, rendono gli abiti simili a creature marine luminescenti.
Il progetto indaga la percezione dei concetti di presenza e assenza, così come l’esperienza visiva del chiaroscuro, e si ispira al saggio di Paul Virilio intitolato L’Estetica della Sparizione (1979): “L’assenza si verifica spesso a colazione… gocciola dalla tazza di tè, poi si riversa sul tavolo, la quale è una delle conseguenze più comuni. L’assenza dura solo pochi secondi, il suo inizio e la sua fine sono improvvisi. Per quanto chiusi alle impressioni esterne, i sensi sono svegli. Il ritorno è immediato come la partenza, la parola o il gesto sospeso è ripreso da dove era stato lasciato, il tempo cosciente si ricostruisce automaticamente, diventando così continuo e privo di qualsiasi interruzione apparente“.
Walking City è un omaggio al collettivo avanguardistico Archigram, che negli anni ’60 immaginò una serie di progetti utopici, tra cui una gigantesca struttura abitabile robotizzata e mobile.
Tre abiti in cotone e nylon nascondono sensori e meccanismi pneumatici in grado di imitare il ritmo fluido della respirazione, attivabili tramite il movimento, toccandoli o soffiandoci sopra.
Ogni abito è pensato come un origami giapponese gonfiabile che espandendosi e contraendosi assumerà forme differenti, plasmando così un elemento immateriale come l’aria.
Playtime – due abiti interattivi che stimolano la riflessione sull’apparire e sulla percezione degli oggetti nello spazio – fa riferimento all’omonimo film diretto da Jacques Tati nel 1967.
La commedia, divenuta celebre soprattutto per l’uso di tecniche scenografiche ingannevoli (trompe l’oeil e giochi di specchi), racconta una futuristica Parigi soffocata dall’architettura moderna in cui i comportamenti umani sono ormai standardizzati.
Esplorando il concetto di trasformazione, Ying Gao traspone l’idea dell’inganno visivo nei due abiti: se fotografati, infatti, l’uno apparirà sfocato e l’altro reagirà al flash illuminandosi.
Living Pod sottolinea i concetti di confronto e imitazione, variazione delle forme e mimesi, tramite un abito in superorganza e un cappotto in pelle, entrambi fotosensibili. Usando una fonte di luce il cappotto può essere attivato e inizierà a muoversi lentamente. L’abito ne imiterà i movimenti in modo accentuato, modificando fluidamente la propria struttura.
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Dominique Lafond