Gli spettri dell’identità 12 Settembre 2014 – Pubblicato in: imperfezioni

do-ho suh home within home

Do-Ho Suh sembrerebbe, a tutti gli effetti, un uomo inseguito dai fantasmi della propria identità.

Molte delle sue opere, con quelle loro innocue e leggere trasparenze, appaiono come spettri ingannevoli che tradiscono una leggera insicurezza, quel continuo interrogarsi sul senso delle proprie origini che ancora non trova una risposta certa.

Coloro che da tempo lo frequentano riferiscono la sensazione che ci sia qualcosa di etereo in lui. Qualunque sia il luogo in cui egli vive, non sembra mai appartenergli del tutto. Eppure, nel momento in cui se ne allontana, lo cattura inevitabilmente un’inspiegabile nostalgia.

 

It’s quite an unsettling experience, because you feel like you don’t belong anywhere. (Do-Ho Suh)

 

Del resto non potrebbe essere altrimenti. La sua è da lungo tempo una vita itinerante che, con i fili invisibili di altalenanti partenze alternate a sospirati ritorni, congiunge luoghi estremamente differenti, lontani nelle atmosfere come nella cultura.

A questi luoghi Do-Ho Suh non può appartenere interamente poiché li sfiora appena. Né questi luoghi così distanti tra loro potranno mai incontrarsi anche solo per un istante e coincidere, finalmente, nel medesimo punto.

 

do-ho suh objects

Ha lasciato la casa paterna di Seul – suo padre è peraltro un influente pittore ben radicato nelle più antiche tradizioni della Korea, e anche in questo egli forse percepisce una distanza incolmabile – per trasferirsi a New York e approfondire gli studi, ma poco tempo più tardi ha spostato il fulcro della sua vita a Londra, per amore della sua nuova famiglia, pur mantenendo indispensabili legami professionali con i luoghi in cui ha precedentemente vissuto.

Quel suo continuo migrare, spaziale e psicologico insieme, ha finito col manifestare intuibili conseguenze nella narrativa biografica delle sue intricate sculture, che ormai sempre più spesso riproducono architetture segnate da riflessi emozionali, trascendendone la mera struttura fisica.

 

do-ho suh specimen series

In alcune delle sue più recenti installazioni l’artista coreano tenta di indagare scrupolosamente il rapporto tra l’individuo e lo spazio che egli abita – malleabile certo, sia fisicamente che metaforicamente – ma è uno spazio che costringe a interrogarsi sempre più frequentemente sui reali confini della propria identità, ormai scarsamente distinguibili.

Nella giostra mutevole che disegna gli scenari della sua esistenza, Do-Ho Suh si chiede se davvero abbia ancora un senso parlare di appartenenza ad un luogo e alla sua storia in una società globalizzata come la nostra, in un ambiente sociale che avvolge ormai la personalità individuale come liquido amniotico, plasmandola quasi al punto di annullarla totalmente.

 

I guess we don’t really need to belong to a place in today’s society. (Do-Ho Suh)

 

Ed ecco allora che in molte sue installazioni il pubblico è invitato a muoversi e a esplorare meticolose riproduzioni degli ambienti domestici in cui egli ha vissuto o di una parte dei loro arredi, solitamente ottenute usando materiali tessili semitrasparenti (lavorati esclusivamente da artigiani coreani).

Le sue delicate e morbide sculture rappresentano, dunque, la memoria “invisibile” delle nostre esperienze quotidiane vissute tra le pareti delle nostre abitazioni: è qui che ancora è possibile proteggere la nostra identità. Ma i confini di ciò che siamo tendono a dissolversi nell’attimo stesso in cui interagiamo con gli spazi pubblici (reali o virtuali che siano).

 

do-ho suh home

La sua ultima installazione è emblematica dei quesiti appena descritti. Home Within Home Within Home Within Home Within Home, ospitata negli spazi del National Museum of Modern and Contemporary Art di Seul, è la riproduzione in scala 1:1 della casa paterna, in cui l’artista ha trascorso la sua infanzia, sospesa all’interno del suo vecchio appartamento a Rhode Island.

Un intricato gioco di appartenenze e confini labili in cui due fantasmi del passato, l’uno contenuto nell’altro come vite accumulate nel tempo, con le loro trasparenze permettono di intravedere gli ambienti del museo e dell’antico palazzo che le ospita, all’interno della città di Seul.

 

 

Do-Ho Suh

lehmannmaupin.com

Photo credits

Copyright © Do-Ho Suh

 



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